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Sentenza rivoluzionaria riconosce Vittima del Dovere un volontario del CAI

La sicurezza è un bisogno fondamentale di ogni essere umano. Lo affermano gli psicologi e lo sancisce la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Eppure non è scontata né gratuita. Se possiamo beneficiarne, è solo grazie al coraggio di donne e uomini che si assumono l’onere di combattere la criminalità, sventare gli attentati o spegnere gli incendi, rinunciando alla propria sicurezza per garantire la nostra.

Questione di “status”

Per restituire loro almeno una parte di ciò cui rinunciano quotidianamente, affrontando rischi che noi non accetteremmo mai di correre, il Legislatore ha previsto nel tempo una serie di importanti benefici economici e assistenziali: quelli a favore delle Vittime del Dovere e dei loro familiari superstiti. 

Tali benefici erano finora riservati quasi esclusivamente agli appartenenti al comparto Difesa, Sicurezza e Soccorso Pubblico mentre pareva impossibile, anche in presenza di tutti i requisiti e le ipotesi previste dalla legge, che venissero riconosciuti ai volontari della Protezione Civile o del Soccorso Alpino, che pure rischiano ogni giorno a fianco di militari, poliziotti o vigili del fuoco.

Una storia di ordinario eroismo

La storia che potrebbe ancora una volta cambiare la giurisprudenza delle Vittime è quella di un eroe “ordinario”. Non si tratta d’un militare d’élite, non ha mostrine scintillanti a decorare una divisa che incute rispetto solo a guardarla. E neppure d’un dipendente pubblico. È semplicemente un uomo con una passione sconfinata per la montagna.

Rocciatore di grande esperienza, istruttore del CAI e caposquadra del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), quel giorno del 1988 è impegnato insieme ai quattro componenti della sua squadra in una scalata addestrativa. 
I cinque alpinisti stanno affrontando la discesa con la cautela di chi conosce e rispetta la montagna: l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e infatti si presenta sotto forma d’una cascata d’acqua ghiacciata. Bisogna superarla risalendone il fianco per un tratto. L’affrontano uno per volta, il capo squadra per ultimo come da prassi, e proprio quando sembra che sia andato tutto liscio, il penultimo dei cinque perde l’equilibrio. Rimane appeso alla fune di sicurezza, sospeso nel vuoto, impossibilitato a raggiungere la parete, esposto al getto gelido e incessante. Non c’è molto tempo per prestargli soccorso: a quella temperatura bastano pochi minuti per morire d’ipotermia. Il caposquadra non esita un istante, abbandona la propria posizione sicura e si cala per raggiungerlo. Ad attenderlo, purtroppo, c’è lo stesso destino del compagno: i due, intrappolati, perderanno la vita sotto quella cascata.

Eroe, non vittima

Il gesto eroico vale all’alpinista la Medaglia d’oro al valor civile, conferita dal Presidente della Repubblica, e persino un riconoscimento analogo del Ministero degli Interni. Lo stesso Ministero, ironia della sorte, che qualche anno più tardi si opporrà con tutte le proprie forze al riconoscimento dello status di Vittima del Dovere. 

Nonostante la legge definisca Vittime del Dovere anche coloro che siano deceduti o siano rimasti invalidi in “operazioni di soccorso”, la Pubblica Amministrazione eccepisce che lo scalatore non fosse un dipendente pubblico, non adempisse a funzioni istituzionali e non gli fosse stata legalmente richiesta l’attività di soccorso. Su queste basi, rigetta dunque la domanda. 

E d’altronde non c’erano precedenti. La stragrande maggioranza delle Vittime del Dovere fino ad allora riconosciute erano appartenenti al comparto Difesa, Sicurezza e Soccorso Pubblico o tutt’al più comuni cittadini, ma solo se chiamati a intervenire dalla pubblica autorità. Ci voleva tutto il coraggio dei familiari superstiti e tutta la tenacia dello Studio Guerra disposti a lottare per sette anni, scanditi da sentenze, appelli e contrappelli, per ottenere giustizia.

Una decisione che cambia la giurisprudenza

Oggi, finalmente, è arrivata la decisione della Cassazione che sconfessa le posizioni del Ministero.
È del tutto irrilevante che l’eroe non fosse un dipendente pubblico. In quanto appartenente al CAI e al CNSAS, enti cui sono istituzionalmente demandati gli interventi in montagna, era membro qualificato ed esperto delle forze di Soccorso Pubblico, seppur su base volontaria. Il fatto, poi, che in quella circostanza non avesse ricevuto un incarico ufficiale, non poteva costituire eccezione valida: in quanto caposquadra e vista la situazione di emergenza in cui si trovava, non poteva certo attendere un comando della pubblica autorità, ma era tenuto a intervenire.

Tale ordinanza apre nuove prospettive non soltanto per i familiari superstiti, ma per gli stessi volontari che riportino una invalidità permanente nello svolgimento della propria attività, spesso fatta di gesti di “ordinario eroismo”.